Unioni civili in Italia: un cammino iniziato nel 1986
Il percorso che ha portato l’Italia all’approvazione della Legge Cirinnà nel 2016 inizia nel 1986, quando, per la prima volta, fu promossa l’istituzione delle unioni civili per le coppie dello stesso sesso. La proposta fu avanzata dalle parlamentari del Partito Comunista e Arcigay Ersilia Salvato, Romana Bianchi e Angela Bottari.
Nel corso degli anni Novanta le proposte di legge presentate alla Camera e al Senato si moltiplicò, e negli stessi anni il Parlamento Europeo invitò diverse volte gli Stati membri a parificare le coppie eterosessuali e omosessuali. Ma tutti i tentativi furono ostacolati dal veto della Chiesa cattolica, che ha continuato e spesso continua ad influenzare le forze politiche in gioco. Una svolta sembra arrivare nel 2003, quando il Parlamento Europeo approva una risoluzione sui diritti umani in Europa, con la quale viene ribadita la richiesta agli Stati della comunità europea “di abolire qualsiasi forma di discriminazione di cui sono ancora vittime gli omosessuali, in particolare in materia di diritto al matrimonio e all’adozione”.
Per un primo passo concreto, però, bisogna aspettare il 2014, quando viene depositata una prima proposta di legge sulle unioni civili da parte dell’onorevole Monica Cirinnà (PD), che sarà modificata prima della sua approvazione definitiva dell’11 maggio 2016.
Legge Cirinnà: i contenuti
Ma che cosa stabilisce questa nuova legge? La legge 76/2016 prevede che due persone maggiorenni dello stesso sesso possono costituire un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni. L’atto costitutivo dell’unione, registrato nell’archivio dello stato civile del Comune, porta con sé diritti e doveri specifici, come l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti, poi, sono tenute a contribuire ai bisogni comuni e a concordare l’indirizzo della vita famigliare; infine, prevede la possibilità di accesso alla comunione dei beni.
Perché le unioni civili non bastano
I dati parlano chiaro: subito dopo l’approvazione della Legge Cirinnà, l’Istat aveva registrato oltre 2300 unioni civili, mentre al 2019, complessivamente, se ne sono registrate circa 12 mila. Ma tutto questo è sufficiente per poter affermare che vi sia parità tra le coppie omosessuali e quelle eterosessuali? Ovviamente no.
L’Italia è infatti l’unico paese dell’Europa occidentale a non consentire il matrimonio egualitario. La Legge Cirinnà riconosce sì le coppie formate da persone dello stesso sesso, ma con alcune differenze sostanziali rispetto al matrimonio. Se dal punto di vista economico non c’è niente di diverso tra le due istituzioni, i primi problemi iniziano a sorgere dal punto di vista morale. Per le unioni civili, ad esempio, non vige il vincolo di fedeltà, e lo scioglimento è più semplice rispetto al matrimonio. Ma la vera differenza rispetto al matrimonio riguarda la possibilità di adottare figli, possibilità presente nella prima stesura della Legge Cirinnà e nota come stepchild adoption e poi abrogata prima dell’approvazione della legge stessa a causa della forte opposizione dell’ala cattolica e conservatrice della maggioranza.
Una sentenza storica è arrivata nel mese di dicembre 2021 da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che in seguito a una vicenda che ha coinvolto una famiglia omogenitoriale di origini bulgare ha stabilito che i diritti dei figli di genitori omosessuali valgono in tutti i Paesi dell’UE, anche in quelli dove tali famiglie non sono riconosciute dalla giurisprudenza locale.
Nel nostro Paese, nonostante le famiglie arcobaleno siano in lieve crescita (l’ultimo censimento ufficiale risale ormai al 2011), c’è ancora molto da lavorare, sia – come visto – dal punto di vista legislativo, sia dal punto di vista sociale. Perché ancora oggi spesso si fatica ad accettare l’idea che una coppia di uomini o di donne possa crescere un bambino come una coppia qualunque. Perché ancora oggi la disinformazione è tanta, troppa, i cui confini spesso si confondono con la mera propaganda politica: un esempio su tutti, la gestazione per altri, che l’opposizione dipinge con metafore grottesche (e infondate) per tirare acqua al proprio mulino. Ma forse bisognerebbe incominciare ad ascoltare chi, il privilegio di scegliere, non ce l’ha, e a considerare le parole “amore” e “famiglia” universali, senza genere né orientamento.
Il percorso che ha portato l’Italia all’approvazione della Legge Cirinnà nel 2016 inizia nel 1986, quando, per la prima volta, fu promossa l’istituzione delle unioni civili per le coppie dello stesso sesso. La proposta fu avanzata dalle parlamentari del Partito Comunista e Arcigay Ersilia Salvato, Romana Bianchi e Angela Bottari.
Nel corso degli anni Novanta le proposte di legge presentate alla Camera e al Senato si moltiplicò, e negli stessi anni il Parlamento Europeo invitò diverse volte gli Stati membri a parificare le coppie eterosessuali e omosessuali. Ma tutti i tentativi furono ostacolati dal veto della Chiesa cattolica, che ha continuato e spesso continua ad influenzare le forze politiche in gioco. Una svolta sembra arrivare nel 2003, quando il Parlamento Europeo approva una risoluzione sui diritti umani in Europa, con la quale viene ribadita la richiesta agli Stati della comunità europea “di abolire qualsiasi forma di discriminazione di cui sono ancora vittime gli omosessuali, in particolare in materia di diritto al matrimonio e all’adozione”.
Per un primo passo concreto, però, bisogna aspettare il 2014, quando viene depositata una prima proposta di legge sulle unioni civili da parte dell’onorevole Monica Cirinnà (PD), che sarà modificata prima della sua approvazione definitiva dell’11 maggio 2016.
Legge Cirinnà: i contenuti
Ma che cosa stabilisce questa nuova legge? La legge 76/2016 prevede che due persone maggiorenni dello stesso sesso possono costituire un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni. L’atto costitutivo dell’unione, registrato nell’archivio dello stato civile del Comune, porta con sé diritti e doveri specifici, come l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti, poi, sono tenute a contribuire ai bisogni comuni e a concordare l’indirizzo della vita famigliare; infine, prevede la possibilità di accesso alla comunione dei beni.
Perché le unioni civili non bastano
I dati parlano chiaro: subito dopo l’approvazione della Legge Cirinnà, l’Istat aveva registrato oltre 2300 unioni civili, mentre al 2019, complessivamente, se ne sono registrate circa 12 mila. Ma tutto questo è sufficiente per poter affermare che vi sia parità tra le coppie omosessuali e quelle eterosessuali? Ovviamente no.
L’Italia è infatti l’unico paese dell’Europa occidentale a non consentire il matrimonio egualitario. La Legge Cirinnà riconosce sì le coppie formate da persone dello stesso sesso, ma con alcune differenze sostanziali rispetto al matrimonio. Se dal punto di vista economico non c’è niente di diverso tra le due istituzioni, i primi problemi iniziano a sorgere dal punto di vista morale. Per le unioni civili, ad esempio, non vige il vincolo di fedeltà, e lo scioglimento è più semplice rispetto al matrimonio. Ma la vera differenza rispetto al matrimonio riguarda la possibilità di adottare figli, possibilità presente nella prima stesura della Legge Cirinnà e nota come stepchild adoption e poi abrogata prima dell’approvazione della legge stessa a causa della forte opposizione dell’ala cattolica e conservatrice della maggioranza.
Una sentenza storica è arrivata nel mese di dicembre 2021 da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che in seguito a una vicenda che ha coinvolto una famiglia omogenitoriale di origini bulgare ha stabilito che i diritti dei figli di genitori omosessuali valgono in tutti i Paesi dell’UE, anche in quelli dove tali famiglie non sono riconosciute dalla giurisprudenza locale.
Nel nostro Paese, nonostante le famiglie arcobaleno siano in lieve crescita (l’ultimo censimento ufficiale risale ormai al 2011), c’è ancora molto da lavorare, sia – come visto – dal punto di vista legislativo, sia dal punto di vista sociale. Perché ancora oggi spesso si fatica ad accettare l’idea che una coppia di uomini o di donne possa crescere un bambino come una coppia qualunque. Perché ancora oggi la disinformazione è tanta, troppa, i cui confini spesso si confondono con la mera propaganda politica: un esempio su tutti, la gestazione per altri, che l’opposizione dipinge con metafore grottesche (e infondate) per tirare acqua al proprio mulino. Ma forse bisognerebbe incominciare ad ascoltare chi, il privilegio di scegliere, non ce l’ha, e a considerare le parole “amore” e “famiglia” universali, senza genere né orientamento.